rionegar logo hp esteso

rionegar logo hp esteso

QUARTIERE GARBATELLA – LA SUA STORIA

La Garbatella è uno dei quartieri più popolari, caratteristici, affascinanti ed architettonicamente (forse al pari del solo quartiere Coppedè) importanti di Roma.

La Garbatella è un orgoglio romano, il quartiere popolare più bello del mondo.
Chi sa di Roma e chi la conosce, non potrà che condividerla.
La ragione è molto semplice: porta con sé tanta romanità e la conserva tuttora.
Da sempre all’avanguardia, con i suoi tanti localini della movida, ma che strizza l'occhio al passato, il posto in cui per strada, la domenica mattina, si po' ancora sentire l'odore di bucato dei panni stesi e il profumo degli intingoli che si preparano per il pranzo della festa. Sui muri passa la storia. L’architettura dei palazzi è più che centenaria, un’edilizia di lotti operai in cui vive una comunità che rivendica la propria identità. Sempre.

Garbatella nasce nel 1920 su un ambizioso progetto urbanistico di Paolo Orlando. L’idea era quella di realizzare un canale navigabile parallelo al Tevere che doveva servire al trasporto delle merci da Ostia fino a un porto posizionato nei pressi dell’odierna via del Porto Fluviale, tra Testaccio e Ostiense. La zona a ridosso di questo porto doveva servire ad ospitare i futuri lavoratori portuali. Per questo motivo i nomi delle vie sono stati dedicate alle personalità del mondo marittimo italiano.

Il progetto del canale navigabile non fu mai realizzato ma il quartiere nacque e sviluppò una propria identità. Furono trasferite qui negli anni ’30 le famiglie sfollate a seguito dell’abbattimento della Spina di Borgo per la realizzazione di Via della Conciliazione, e quelle sfollate per la realizzazione di Via dei Fori Imperiali.

La Garbatella fu suddivisa in 62 lotti dell’Istituto Case Popolari (ICP) e la sua architettura si ispirò al modello delle città giardino inglesi, con villini e palazzi di massimo tre piani, con cortili e spazi verdi coltivabili. Un modello che dava dignità anche alla classe operaia.

Lo stile utilizzato fu il barocchetto romano ideato dagli architetti Gustavo Giovannoni e Innocenzo Sabbatini.

La sua storia non è noiosa e serve soprattutto per apprezzare ancora di più l’originale territorio visitando il quartiere a piedi.

Il nome innanzi tutto. Ci sono ben tre ipotesi che circolano attorno alla sua origine: La prima, la più scientifica, Garbatella verrebbe al riferimento di un tipo di coltivazione della vite ‘a garbata’ o a “barbata” in uso nella tenuta di Monsignor Alessandro Nicolai (la “Tenuta dei 12 Cancelli” che includeva anche l’attuale Via delle Sette Chiese). 

La seconda è che siano stati i luoghi verdi e le costruzioni curate a far meritare alla zona l’appellativo di ‘garbata’. 

La terza ipotesi, la più popolana e romantica ed anche la più accreditata, riporta il nome alla presenza nel quartiere di un’osteria dove si trovava un’ostessa dai modi così gentili e garbati e talmente benvoluta dai viaggiatori che prendevano alloggio presso la sua locanda, da meritare il nome di Garbata Ostella, definizione contratta poi in “Garbatella”.

La delicatezza, la finezza ed il garbo risalirebbero alla sua caritatevole attitudine verso i bisognosi, anche se, non manca chi le abbia interpretate anche come vaga sensualità e voluto fare allusioni sui favori che, si ritiene, l’ostessa fosse abituata a concedere ai viaggiatori……… forse, proprio per questo, lo stucco sulla facciata di un palazzo di Piazza Geremia Bonomelli la ritrae con un seno scoperto…….!

Per la leggenda, il nome dell’ostessa doveva essere Carlotta, e l’Osteria era verosimilmente ubicata nella zona della Basilica di S. Paolo, presso via delle Sette Chiese, probabilmente in Vicolo della Garbatella, la strada che i pellegrini percorrevano nel loro pellegrinaggio alle sette chiese di Roma. 

La Garbatella nasce nel 1920 più precisamente il 18 febbraio e probabilmente è l’unico quartiere di Roma ad avere una data certa. Nasce come quartiere popolare destinato ad ospitare gli operai della prevista “zona industriale” dell’Ostiense, ed è caratterizzata da villini e palazzine divisi in lotti e strutturati, almeno nel nucleo storico, in tre piani al massimo, con grande cura per i dettagli e con ampi spazi verdi interni (piazze, cortili e giardini) che dovevano fungere da punto di ritrovo per la popolazione.

Prima dell’inizio dei lavori in Piazza Brin, luogo dove venne posta la prima pietra da Re Vittorio Emanuele III, vaste proprietà della zona erano concentrate nelle mani di poche facoltose famiglie, che occupavano casali e ville.

Il territorio era ricoperto da numerosi canneti, orti ed aree tenute a pascolo, affittate a pastori che praticavano la transumanza. Nel 1908 era sorto, su Via delle Sette Chiese, un grosso edificio dove una "Società del cacio e del pecorino" raccoglieva dai pastori il latte, lo lavorava e faceva stagionare le nere forme di pecorino romano. 

Il territorio era quindi semidisabitato ma si animava quando si svolgevano i pellegrinaggi delle Sette Chiese, una vera e propria processione che aveva nella "chiesoletta", la cappella dedicata ai Santi contadini Isidoro ed Eurosia, una delle tappe d'obbligo: nel luogo ove sorse la chiesetta, restaurata agli inizi dei 1800 dal Valadier, c'era stato nel 1575 l'incontro tra S. Filippo Neri, ideatore del pellegrinaggio e San Carlo Borromeo.

Nel 1920 all’Ostiense erano state impiantate le officine del gas, i mercati generali, oleifici e, lungo le rive del fiume, mulini e concerie, una grande vetreria, officine meccaniche e molti magazzini. La nuova borgata nasceva come insediamento operaio a ridosso della zona industriale ma anche come borgo marinaro al servizio di un porto fluviale rimasto però a livello di progetto. Il 18 febbraio 1920, la nascente borgata non aveva ancora un nome ufficiale: furono proposti i nomi “Concordia”, per richiamare l'auspicio di una pace sociale molto vacillante in quel periodo, o “Remuria”, per via di una leggenda secondo la quale Remo, in opposizione a Romolo, avrebbe voluto costruire proprio qui la sua città (e non sull'Aventino come vuole la tradizione), ma prevalse in via ufficiale, anche se solo alla metà degli anni '30, il nome che si era già popolarmente imposto: Garbatella.

La ragione principale del suo sviluppo si inscrive in generale in una spiccata estensione urbanistica di quegli anni di Roma, ma è da ascrivere anche ad uno scopo ben preciso: si era infatti deciso di edificare un porto ad Ostia, il quale sarebbe stato collegato a due porti fluviali sul Tevere (uno nei pressi di via del Porto Fluviale, l’altro dalle parti della Basilica di S.Paolo); il quartiere neonato sarebbe quindi servito ad ospitare i lavoratori adibiti a questo ambizioso progetto e altri impiegati nella zona industriale del quartiere Ostiense. Il progetto di Ostia però naufragò, con la Garbatella che continuò a vivere una vita propria anche se non aderente al progetto originario: se all’inizio essa venne concepita come borgata separata dalla città e circondata dalla campagna, la speculazione edilizia la unirà alla città facendo venire meno la destinazione d’uso soprattutto rurale e operaia. Quest’ultima, però - ed è questo il bello del quartiere - permane negli edifici e negli spazi della parte vecchia della Garbatella, creando una saldatura ideale fra passato e presente. 

Architettonicamente, l’ispirazione primaria del nuovo quartiere era quella della città giardino all’inglese, anche se rivisitata: un complesso di case unifamiliari dotate di cortili interni e di appezzamenti di terreni agricoli. La logica è quella del lotto, che è il vero protagonista della sistemazione urbanistica del quartiere: la parte storica della Garbatella si svilupperà nei primi anni di vita intorno a 62 lotti; in seguito, si imporrà anche l’impostazione degli spazi comuni e il quartiere vedrà un’ulteriore crescita.

Ciò che colpisce guardando con attenzione le case è la varietà degli stili che vengono applicati a diverse costruzioni della Garbatella storica, fra i quali spicca il cosiddetto barocchetto romano visibile da molti edifici del rione, stile che divenne tipico dell’edilizia popolare di quegli anni. Dal punto di vista architettonico e urbanistico, il risultato finale ottenuto alla Garbatella è diventato un vero e proprio “caso di studio” che per l’appunto ispira architetti e urbanisti: non è difficile, infatti, incontrare studenti di Architettura oltre che delle Università italiane e romane anche di quelli di altre città e nazioni.

Monumenti, artistici e architettonici degni di rilievo o curiosità, alla Garbatella, sono la Fontana di Carlotta con la adiacente scalinata (detta “degli innamorati”), il Palladium (che era un tempo il cinema rionale e oggi, dopo essere stato anche discoteca di tendenza, dinamico centro culturale) ed, in epoca più recente, proprio ai limiti con l’Ostiense, l’Air Terminal che, in occasione dei Campionati mondiali di calcio del 1990 doveva unire l’aereoporto di Fiumicino alla città. Ora il terminal è sede di EATALY, uno degli spazi più importanti dedicati ai cibi ed alle bevande di alta qualità ed è tra i marchi enoganostronomici più conosciuti e più ambiti al mondo.

Un’altra struttura che, per un certo verso, può essere definita un “monumento storico” è l’orologio della torre dell’” Albergo rosso”, che ha per anni segnato le ore 11 e 25: cioè l’ora di inizio del bombardamento che il 7 marzo del ’44 colpì l’intera zona e che rase al suolo gran parte del quartiere, lasciando a terra oltre cinquanta morti.

Quelle lancette ferme sono state fissate sulle 11,25 per oltre mezzo secolo rappresentando forse il miglior monumento di Roma contro la guerra. In occasione del centenario della nascita del quartiere, proprio lo scorso 18 febbraio, l’orologio è tornato a funzionare diventando punto di riferimento per gli abitanti del quartiere e attrazione per le persone che consumando un caffè in Piazza Biffi ne ammirano l’originalità e la “precisione”.  

Ma ritorniamo alla storia, La Garbatella, sul finire degli anni ’20 è un vero e proprio territorio di sperimentazione urbanistica, in cui vengono applicate varie soluzioni: sono infatti presenti sia la "casa rapida", essenziale, che i villini palladiani, le case "minime" e gli alberghi suburbani. Le varie tipologie edili evidenziano il diverso ruolo svolto dai vari interventi. La "prima" Garbatella è legata ad un'idea di città giardino tutta italiana; ogni inquilino ha intorno all'alloggio un pezzo di terreno adibito ad orto e particolare cura è dedicata alla scelta di piante pregiate nell'ornamento dei giardini. Con le realizzazioni successive la” casa rapida” non prevede più lotti frazionati ma spazi e attrezzature collettive. La scelta di edificare "alberghi" suburbani viene adottata in seguito al fallimento della politica della casa rapida. Appena si evidenziò la forte incidenza dei costi di costruzione, la tipologia del villino si trasformò in palazzina che, a sua volta, fu la soluzione intermedia tra il villino e l'edificio a "blocco”, un edificio architettonicamente elegante e di veloce realizzazione, comprendente in sé un modico numero di appartamenti e rispondente, meglio del villino, alle esigenze economiche e di sviluppo della città. 

A proposito della città giardino, crediamo sia utile riportare la teoria di Raynold Unwin, l’urbanista inglese cui si ispirarono i progettisti italiani della Garbatella:

"Suggerisco che la forma ideale della città alla quale essa dovrebbe tendere, consista in un nucleo centrale, circondato da sobborghi, ognuno dei quali raggruppato intorno ad un centro sussidiario che rappresenti la vita comune suburbana dei distretto; il sobborgo, a sua volta, sarà costituito da gruppi di abitazioni, officine, o altro, con qualche attività cooperativa collegata con gli edifici e i proprietari delle abitazioni o con gli svaghi collettivi negli spazi pubblici, nei campi di gioco e così via. Per potenziare questo sviluppo ideale della città, ogni singolo sobborgo dovrebbe essere fornito, prima di tutto, di un opportuno centro intorno al quale dovrebbero essere situati gli edifici municipali o amministrativi locali, i luoghi di culto e le istituzioni educative, ricreative e sociali. Sarebbe logico raggruppare le industrie e le attrezzature ferroviarie in collegamento con canali e fiumi, ove esistano. Una simile zona industriale dovrebbe essere strettamente collegata, con strade di traffico dirette a comodi mezzi di trasporto, con i diversi quartieri residenziali". 

Nel 1920 le case generalmente sono a due piani, con piccolo spazio verde individuale. Gli alloggi sono costituiti da tre o sei vani e senza bagno. Sono delle residenze molto semplici, costruite con materiali economici, ma che hanno una certa solidità. Il sistema costruttivo adottato è quello usuale all'epoca a Roma, con muratura mista di pietra, tufo, mattoni, pavimenti in piastrelle di cemento e, sui tetti, tegole alla marsigliese o alla romana, scalini e soglie in cemento. Nel 1923 inizia la costruzione delle "case rapide" e nel 1925 sorge, intorno a piazza Masdea e via Magnaghi, il quartiere per gli sfrattati: le case, scarne ed essenziali, sono caratterizzate da ampi spazi comuni e servizi come stenditoi, lavatoi, spazi gioco, giardini.

In verità l'intero quartiere, con le fontane, le palazzine, i balconi, i villini, gli stucchi e gli spazi verdi, può essere considerato un grande monumento a cielo aperto, tanto che, da sempre, fa da sfondo a film, fiction e telefilm..: il quartiere, infatti, è sempre stato caro a Nanni Moretti (che vi ambientò alcune scene di “Bianca” ed una parte del primo episodio del film “Caro diario”, precisamente “In vespa”, descrivendo la Garbatella come “il quartiere di Roma che più mi piace”; alla Garbatella sono state recentemente girate le fiction di successo “Caro Maestro” e “I Cesaroni”. Lo stesso Pasolini ambientò in questo quartiere molte scene del romanzo “Una vita violenta”; scene del film Romanzo Criminale mentre i lotti storici sono stati la cornice prediletta per uno degli ultimi film di Woody Allen e sempre più numerosi sono gli spot di carattere pubblicitario che vengono girati all’interno degli originali comprensori.

La struttura architettonica e urbanistica del quartiere fu inizialmente improntata come già accennato al modello inglese delle “città giardino”, popolate da operai e comprendenti ampi e numerosi spazi verdi coltivabili, tali da fornire ai lavoratori residenti una preziosa, e ulteriore, fonte di sussistenza. Alcuni dei lotti originari vennero demoliti negli ultimi decenni del secolo scorso ma nei lotti più antichi, nei pressi di piazza Benedetto Brin, vero e proprio cuore della Garbatella, si può ancora ben vedere come gli spazi dedicati al verde (giardino o orto che fosse) erano proporzionalmente paragonabili a quelli abitativi; questo, forse, per permettere un più ottimale e rapido ambientamento dei lavoratori agricoli provenienti dall’Agro Pontino e destinati a popolare il nuovo quartiere: un espediente per farli sentire un po’ più “a casa propria” ed evitare lo choc dovuto al trasferimento “in città”.

Lo stile architettonico dei primi lotti fu denominato come già detto “Barocchetto” dai suoi creatori Giovannoni e Sabbatini, cui si aggiunsero in seguito Costantini, Piacentini, De Renzi, e Nori; infatti, di stile “baroccheggiante” sono i profili sagomati, le figure di animali, fiori e mascheroni riscontrabili nei fregi, sia pure in stucco anziché in marmo come negli edifici gentilizi. L'avvento del Fascismo stravolse però la pianificazione urbanistica del quartiere, in quanto il rapporto "verde/edificato" calò sensibilmente e cominciarono ad essere costruite abitazioni più simili ai moderni condomìni che ai precedenti villini; anche l'idea del porto fluviale venne definitivamente abbandonata.

Restò comunque ferma l'intenzione di costruire, oltre agli spazi abitativi privati, spazi pubblici come stenditoi o asili nido. Si cominciarono a costruire palazzi più grandi ed alti per ospitare una sempre crescente popolazione.

La differenza con i palazzetti sorti all’inizio dal 1920 con quelli edificati dal 1923 in poi, si può facilmente riscontrare nei quattro lotti chiamati Alberghi ("Bianco", "Giallo", il "Terzo Albergo" e "Rosso – lotto 42") nei pressi di piazza Eugenio Biffi, notevolmente differenti dal punto di vista strutturale ed estetico. Malgrado questo giro di timone progettuale la Garbatella può comunque essere definito, insieme forse alla zona di Monteverde Vecchio, l’unico quartiere di Roma a misura d’uomo.

Gli “Alberghi” appena menzionati sono quattro palazzoni disegnati alla fine degli anni ’20 da Innocenzo Sabbatini ed edificati nella Piazza Michele da Carbonara. Tre di loro, il “bianco” il “giallo” e il “terzo albergo”, s’incastrano con forme ad "Y" mentre il quarto, dipinto di rosso, sembra una bottiglia rovesciata. Quando furono costruiti non mancarono elogi da parte dei giornali del tempo; nel marzo del 1928 il Messaggero recita: “Frutto di sperimentazione progettuale che rimanda a suggestioni futuriste… questi edifici si notano per una migliore pratica costruttiva ed una perfetta utilizzazione degli spazi.” In realtà erano dei veri e propri dormitori pubblici, con i servizi in comune, destinati a concentrare gli sgomberati, gli espulsi dal centro storico, assieme a sorvegliati di polizia o ex confinati vittime del Tribunale Speziale.

Nel 1926 l'architetto Marconi progetta le case di tipo semieconomico. Questo tipo di edificio, indirizzato ad un ceto sociale diverso da quello dei villini, è composto generalmente da tre fabbricati uniti da arcate di allacciamento e disposti intorno ad un cortile che ancora oggi è caratterizzato da piante e fiori. Queste costruzioni sono quelle a più alta densità abitativa, dopo gli alberghi: sono alte quattro piani e sono costituite da quattro alloggi per piano. Al piano terra ampie arcate permettono l'accesso al lotto. Tra il 1925 ed il 1927 fu costruito il quartiere per sbaraccati, costituito da oltre 500 alloggi. La novità di questo "quartiere" è costituita dall'esistenza di un progetto generale dei lotti che dà un senso unitario a tutta l'area. Nel 1929-30 si costruiscono edifici intorno alla piazza Bartolomeo Romano, con caratteristiche completamente differenti dalle precedenti: gli edifici hanno volumi notevoli e piante più articolate. Fanno parte di queste costruzioni i Bagni Pubblici ed il Teatro, servizi ormai essenziali per le dimensioni raggiunte dal quartiere. Principale artefice di questi progetti è l'architetto Sabbatini. Il Cinema Teatro Garbatella, oggi Palladium, è un dinamico insieme di elementi strutturali che sostengono le gallerie curvilinee ed elevano la cupola di copertura. 

Progettati completamente, come detto, da Innocenzo Sabbatini tra il 1926 ed il 1929, e costruiti intorno a piazza Michele da Carbonara, gli "alberghi" dovevano servire a dare ricovero agli sfollati del centro storico in seguito alla politica degli sventramenti della zona del Colosseo, del Teatro di Marcello e dell’attuale Via dei Fori Imperiali. Sabbatini fu libero di progettarli a suo piacimento e senza controlli superiori; essi occupano tre lotti triangolari mentre il quarto è concepito a forma di bottiglia per ospitare la sala da pranzo comune. Questi "alberghi", che in buona sostanza non sono altro che dei dormitori pubblici, hanno i servizi sociali ubicati al piano terra: depositi, cucine, refettori, asili per bambini, ambulatori. In particolare, nell'Albergo rosso trovano posto la chiesa e le scuole elementari, mentre nell'Albergo bianco è situata la Maternità. Le stanze ai piani superiori possono ospitare o persone singole, divise per sesso, o nuclei familiari. Il "Messaggero" del 29 marzo 1928 riconosce in questa opera "una migliore pratica costruttiva ed una migliore utilizzazione degli spazi dovuta alla semplice scelta tipologica del corridoio con stanze a destra e sinistra”.

Alla popolazione allontanata dalle proprie attività e dalla propria residenza non viene concessa altra alternativa che quella di vivere o in una "casa rapida" o in un dormitorio pubblico. Dopo il 1935 cessa la sperimentazione sull'abitazione popolare. L'intervento definitivo sulla "borgata giardino” avviene con la costruzione della chiesa San Francesco Saverio e la Scuola Cesare Battisti (sfondo di tantissimi film e riprese televisive in tempi recenti). Sono presenti, in questi ultimi due edifici, i caratteri della cosiddetta "architettura di Stato", con le aquile littorie intorno alla bella torre traforata della scuola ed il portico, di forte richiamo alla romanità, che fa da ingresso a via Magnaghi.

La Garbatella è stata a lungo considerata una borgata popolare un po’ malfamata, una delle parti di Roma che tradiva inevitabilmente le sue origini umili. Il tempo è stato galantuomo, è diventata a poco a poco un quartiere appetibile anche per altri strati sociali, grazie all’amenità dei suoi scorci e il suo essere una sorta di “quartiere paese” staccato dai turistici rioni centrali di Roma e da altre zone della città molto più caotiche. Senza dimenticare il particolare mix che la contraddistingue: l’aspetto popolare nonché rurale si accompagna a influenze architettoniche afferenti a quella corrente definita come barocchetto romano e ciò la rende una delle zone di Roma più singolari e affascinanti. A questo si aggiunga la sua vivibilità e la sua vitalità, percepibile non solo attraversandola ma anche dal fermento culturale tipico del quartiere.

Questa è la storia della Garbatella, del quartiere, amato da chi ci è nato, da chi ha scelto di viverci da chi è solo di passaggio; un quartiere dove il trascorrere di una vita a misura d’uomo, il fermento culturale che ne caratterizza la vita sociale ed il senso di appartenenza, fanno sì che venga  valorizzato in ogni momento ed in ogni circostanza, il patrimonio di fascino e riconoscibilità che questo quartiere, ormai ultracentenario continua ad offrire in uno scenario che con angoli di rara bellezza è ineguagliabile.

Walter GRAZIANI

Scrivici

Per favore inserisci il nome
Per favore inserisci il telefono
Per favore inserisci una e-mail Indirizzo e-mail non valido
Per favore inserisci il tuo messaggio
Acconsento al trattamento dei dati ai sensi del DLgs 196/2003 e del Reg. UE 2016/679.
Leggi l'informativa